Senza fine

Era una notte d’inverno, quando guardando dalla mia finestra, mi accorsi che qualcosa non andava, tutto sembrava al suo posto; fuori faceva freddo, le strade erano buie e l’atmosfera cupa, solo i riflessi del ghiaccio sull’asfalto, riuscivano a scalfire quella coltre. Nella mia stanza faceva molto caldo, ma il riscaldamento era rotto, non poteva funzionare.

Sentivo su di me una grande soggezione, come se qualcosa o qualcuno stesse osservando ed analizzando ogni mia azione, e d’improvviso quasi senza rendermene conto, cominciai a parlare da solo, quasi a tenere discorsi, riuscendo a percepire anche risposte alle mie domande, facendo di me un folle.
Disperatamente vagavo per la stanza, e non vedendo porte, iniziò a balenare per la mia testa, il pensiero che quella non fosse solo la mia stanza, ma un intero mondo che si affacciava su un universo di ghiaccio.

Gli oggetti erano quelli, ed erano al loro posto; potevo riconoscerne i tratti ma erano come inconsistenti al tatto, e gli odori… l’unico odore presente era quello di un sigaro acceso su di un tavolino, accanto ad una bottiglia e due bicchieri di brandy, l’uno mezzo pieno, l’altro vuoto, no anzi, era completamente pulito; accanto ad essi vi era una scacchiera con una partita quasi alla fine; distaccai lo sguardo da quella scena, per rivolgerlo verso un vecchio specchio che per generazioni era stato tramandato, le decorazioni erano molto consumate, ma ancora si poteva ammirarne la forma e il disegno finemente lavorati e, non serviva molto per riuscire a vedere in essi lo splendore della sua giovinezza, facendomi perdere in essa, ma nonostante la sua bellezza, sentivo come un terrore sulle mie spalle avvicinandomici, e quando ci trovammo l’uno di fronte all’altro, fui impossibilitato a scorgere la mia immagine in esso. Non mi riflettevo, ma non ero il solo a non riflettermi, nulla di quello che stava dietro di me, veniva riflesso, eppure quel tavolino c’era… avvicinai la mia mano, pensando fosse inconsistente come gli altri oggetti, ma quello che sentii era freddo come il ghiaccio. Avvicinai il mio viso allo specchio, fino a quasi toccarlo, fino a vedere apparire un immagine sfocata e distorta, che mi colpì forte e fece sobbalzare il petto, avevo avuto paura, come se fosse stata la prima volta che avessi visto uno specchio, forse anche chi vide per la prima volta il se stesso riflesso ebbe paura. L’immagine era sfocata, ma ero sicuro, quello ero io, cercai dunque di concentrarmi, ma a nulla serviva, l’immagine restava sfocata e distorta, ed emetteva un senso di angoscia, ne avevo il terrore; era l’unica cosa ad essere distorta, ciò che era dietro appariva ora in maniera nitida; forse non era lo specchio a non riflettermi correttamente, forse ero io a non ricordare più quale fosse il mio aspetto. Mi sentivo perso, era come se qualcosa dentro di me fosse stato portato via, la sicurezza di dire io sono io, il mio aspetto è questo, era svanita, potevo essere qualunque cosa e, nessuna.

Potevo anche non esistere…

Il suono del vecchio cucù del nonno, alimentò ancor più la mia pazzia quando volgendogli lo sguardo, non potei vederne l’ora, il quadrante era completamente bianco e le lancette erano sparite; la mia testa sembrava scoppiare, appoggiai le mani ad essa, quasi come trattenerla mentre una folle risata iniziava il suo canto, finché caddi.
In terra mi sentivo come spingere ancora più a fondo, ed era come se fossi diventato cento, no, mille volte più pesante, tanto da potermi muovere solo strisciando e a piccoli passi; il tempo che impiegai a raggiungere il vicino divano non ha importanza, e non poteva averne, ma certo è, che le mie risate e le mie immagini distorte, mi accompagnavano, e tormentavano.

Di colpo ero disteso su quel divano, come svegliato da un incubo, ora il riscaldamento rotto lo sentivo, la stanza era molto fredda, tutto però sembrava immobile come ghiacciato.

Mi alzai in cerca di qualcosa di caldo, e senza rendermene conto mi ritrovai davanti a quel tavolino, e per istinto mi sedetti dove il bicchiere era vuoto, dalla parte di chi stava perdendo la partita.La situazione era strana, lo sentivo, ma era come se un grande peso fosse svanito, e rilassato, riempii il bicchiere, osservando l’assenza del tempo su quel vecchio cucù, poi guardai la scacchiera aspettando che in quel posto vacante, qualcuno facesse la sua mossa.

Piano piano iniziai ad avere sonno e prima che me ne rendessi conto, difronte a me qualcuno con in mano un bicchiere di brandy osservava il cucù che prima osservavo io, ma non era lui ad essere apparso, ero io l’occupante di quella sedia che prima era vuota, ero io che prima sentivo, ed ero sempre io la persona con cui prima stavo parlando, non era un sogno, tutto quello successo prima era reale. Io ora ero li dalla parte col bicchiere mezzo pieno, con accanto un foglio ed una penna tra le mani, un foglio che dalla parte opposta non riuscivo a vedere, un foglio dove stavo scrivendo queste memorie.

Dall’altro lato, chi stava perdendo, rivolse lo sguardo verso la scacchiera, mentre i suoi occhi attendevano di chiudersi per l’ultima volta, dopo la mia mossa.

Ormai ho compreso tutto, e sorrido, sono morto, e ciò che mi è accaduto prima, era come la porta d’ingresso a qualcos’altro, era un mondo creato per lasciare tutte le mie ansie e paure, era un’ eterna fredda notte, solcata solo da piccole scintille, come i miei sentimenti di quella che era la mia cupa e solitaria vita.

Ma adesso è ora che vada, perché il ciclo si ripete e l’altro me, è ancora in quel mondo attendendo che io faccia la mia mossa; chissà cosa mi aspetta adesso…

Scacco matto.

 

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