Corroso

Introduzione

Ed è quando siete lì voi stupidi umani con d’innanzi qualcosa di grande, di immenso, qualcosa verso cui non potete fare nulla, che iniziate a riflettere, mentre dentro di voi il vostro sangue ribolle, ed accelera nel suo ultimo percorso verso il cuore, i battiti accelerano, il respiro è faticoso, la mente si annebbia e tante domande trovano risposta, in quei brevi intensi secondi che portano con essi un’ intera esistenza compressa in un minuscolo atomo di essere, mentre fuori piccole gocce salate iniziano a rigare il volto creando solchi fino a sanguinare, riunendosi davanti a quei piedi che un tempo sorreggevano il vostro scheletro ma che ora saldi si aggrappano alla terra, cercando invano di fermare una macabra danza, poi il silenzio e tutto rallenta e si ferma, tutto si acquieta, il verdetto è stato emesso, morte.

Corroso

Un mondo smarrito dei suoi colori più vivaci, una cupa melodia, un suono perverso era costante, il vento non fischiava, urlava straziatamente, per chi poteva ancora sentire, l’odore era di metallo corroso, affascinante e al tempo stesso malinconico.
Non è passato molto, o almeno credo, (non conosco il trascorrere del tempo, e qui in questo nascosto mondo non arriva la luce, forse sono passate 4, o forse 5 generazioni, ma non sarebbe comunque un tempo, ora non si sopravvive molto) da quando l’ uomo preso dall’impotenza e dalla follia ha cominciato a strappare a morsi le proprie ed altrui carni per cibarsene e maledire la propria condizione animale, dopo aver passato anni come mero oggetto, calpestato dal progresso, dalle altrui decisioni, reso schiavo dai suoi simili, sostituito ed infine gettato via, ora i pochi rimasti sono carne putrida divoratrice di altra simil carne, ed anche io lo sono.
Ho sentito dire che il tutto è cominciato piano piano, per poi accelerare sempre più e travolgere tutti senza possibilità di reazione, le persone cominciarono a non servire più, ad essere costose, ad essere troppe e di troppo, il tutto in funzione di un rapido avanzamento, esse erano troppo lente ed ignoranti, iniziarono ad essere sostituite perché difettose; ferro, acciaio, viti e bulloni ne prendevano il posto, non serviva cibo, non serviva riposo.
I più si impoverivano ed indebolivano, e senza forze, spiravano in silenzio; altri quelli che ancora potevano resistere, furono talmente abbagliati da quel progresso, che, vollero sempre più farne parte loro stessi, scambiando arto dopo arto, ossa dopo ossa, fino a che il rosso sangue non divenne argenteo.
A che pro continuare a produrre cibo, continuare a produrre cose e curarsi della carne, se era solo scarto? Tali azioni innescarono la miccia che accese la natura animale dell’essere umano, il cibo finì in fretta, piante ed animali altrettanto, a quel punto camminando, ovunque si poteva assistere a persone che strappavano e divoravano le proprie ed altrui carni, niente più esistenze, niente nomi, niente sentimenti, braccia, gambe, la carne era carne.
In quel momento, tutto smise di andare avanti…
Strade sempre più deserte, vite sempre più sfuggenti, ai nuovi non serviva nulla, e dopo un primo periodo di attività speso, ricostruendo sui cadaveri e sulle macerie, città a loro nuova essenza, tutte in ferro, senza alcuna distinzione, iniziarono a fermarsi ed osservare, per giorni, anni; molti sono ancora lì fuori immobili da quel momento, a volte li si può sentire cantare o narrare racconti, storie di vita e di un tempo passato, quando ancora le ore rintoccavano e il giorno seguiva la notte.
L’altro giorno camminando per le strade in cerca di qualcosa o qualcuno, fui catturato dal vago suono di un pianto, molto forzato, proveniente da una piccola stradina; troppo buia per i miei occhi stanchi, che altro non mi concessero di intravedere, se non l’ombra di una sagoma e non poter distinguere altro, e poi, ormai non è più il tempo per preoccuparsene, e le mie stesse vecchie gambe continuarono a camminare su quelle strade coperte di ruggine, mentre tutto il resto taceva; tornai il giorno seguente, sotto una pioggia tagliente e con i piedi a segnare una via, arrivato, volsi lo sguardo, e la vidi, quella stessa sagoma, ancora lì e immobile, privata del suono passato; chi si ferma lo fa accanto ad altri, ma lei era lì, senza nessun’altro, ferma nel buio, e piccola.
Forse qualche briciolo di umanità mi era rimasta, e si era rifugiata nelle gambe, perché senza accorgermene quella sagoma era sempre più nitida, a pochi passi da lei, le mie gambe si fermarono, mi avevano portato li senza saperlo, ma l’andare avanti avrei dovuto volerlo.
Quella sagoma che credevo fosse piccola, se ne stava immobile in ginocchio con il volto inclinato e i capelli che scendevano sulla nuda schiena e la spalla sinistra, mentre alcuni cavi erano strappati; annuii con la testa e percorsi gli ultimi passi, e quando trovandomi difronte a lei, vidi il suo sguardo rivolto vero il basso, ad osservare il cuore metallico strappato dal suo petto, mi venne spontaneo inginocchiarmi e restare in silenzio, gli occhi erano spenti e freddi, ma la loro espressione mi permise di guardare oltre quel freddo metallo, quegli occhi avrebbero voluto piangere, ma non potevano… Osservavo quell’involucro, i piccoli segni di usura dati dal tempo, le braccia penzolanti per la rassegnazione e quel grande dolore nel petto, da cui era stato strappato quel cuore che le giaceva dinnanzi, ed immaginavo, immaginavo i suoi ultimi istanti, cosa l’aveva portato a questo, ricordai le tante storie ascoltate, le tante canzoni, e ripensai anche alla mia esistenza, inutile, un rifiuto.
Forse un tempo i miei occhi potevano piangere, ma non adesso, erano troppo vecchi e tutte le mie lacrime erano già state versate; la osservai nuovamente e sentii il ricordo del pianto che mi aveva catturato, e chiudendo gli occhi, me ne andai, senza tornare più.
Molti si fermano, ed osservano, attendono qualcosa o una fine, vivono nel loro passato e nei loro racconti, lei nella sua solitudine si è fermata lontana da tutti, riuscendo a trovare quella fine da tanti bramata.

Forse tutto tornerà ad andare avanti…

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